TRA IL DIRE E IL FARE C‘E‘DI MEZZO IL DARE

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(29 ottobre 2005)

All’algido albeggiare di una vermiglia aurora preequinoziale mi pentii di aver visto un film come “Torna a casa Lessico” e stramazzai assopito. Ero tra le braccia di Morfeo che più che una divinità pagana mi si chiarì come una forma sincopata di Moira Orfeo. Mi trovavo in un ambiente, anzi, in una situazione. L’immensa camera in cui ora mi aggiravo era piena di funamboli, acrobati, pagliacci. Praticamente una circo stanza. Cercai aiuto, tentai approcci. A una bella giocoliera chiesi il numero e quella cominciò a far girare le fiaccole. C’era distrazione nell’aria. Era il momento delle parate. Da un lato orde di Biagi di tutto il paese sfilavano sotto i colpi del domatore bagonki che li istigava, per odio, a cambiare cognome scegliendone un altro qualunque, anche comune. Disappunto generale, soddisfazione solo nel motociclista Biaggi che già assaporava i vantaggi di chiamarsi Rossi. Dall’altro, invece, marciavano, inviperiti, automobilisiti in cerca della Santanchè, colpevole di aver fatto anche l’autostop col dito sbagliato. Da un altro lato ancora carovane di ragazzi procedevano sotto gli strali di Ignazio La Russa che tuonava “Addenzione!! Scdudendi in gordeo”. Invitato a una rettifica più comprensibile sostituiva scdudendi con scgolari e gordeo con brodescda. Embè, aò. Più de così non se poteva. Trovai posto negli spalti proprio al momento dei clown. Venne approntato un Ministero dell’Economia e arrivarono Calderoli, con una porta sotto il braccio, e un gruppo di mafiosi. I mafiosi, per non pagare l’Ici, chiesero di iscrivere i loro immobili come organi di culto, professandosi adoratori del dio Mitra. Richiesta accolta. Calderoli, invece, sorridendo, appoggiò la porta sul bancone dell’Ufficio Imposte e disse “devo l’uscio”. Fu il delirio. Tremonti venne portato via in evidente stato di eccitazione e sottoposto al doping si scoprì sotto l’effetto di finanza creatina. Il pubblico cominciò a scompisciarsi, sgignazzare e sbellicarsi e proprio quando fu chiaro che il divertimento era tra i più qualcuno proclamò “il riso abbonda nella bocca dei cinesi” e fece il suo ingresso in pista Cofferati con la bilancia, la toga e il parruccone. La chiazza rossa sulla fronte che formava la parola vendetta evidenziò la sua voglia di reprimenda. Cominciò l’esibizione. Nell’incredulità dei più e con un colpo solo Cofferati annientò i nomadi, gli distrusse tutti gli LP, fece fuori la roulotte della Banda Bassotti, le tende dei Sioux narcotizzando il capotribù (ribattezzato Toro Sedato). Poi si avventò sullo Zio Tom co’ tutta ‘a capanna, quindi su Mario Capanna stesso, su un paio di trapiantati all’addiaccio, i famosi due cuori e una capanna, sui pastori che in terra d’Abruzzo lascian gli stazzi e van per le colline, e su Lucio Dalla, chè la sua casa è piazza grande, e gridando a modo mio quel che sono l’ho voluto io denunciò per randagismo il vagabondo di Lilli e il vagabondo con la reazione di Lilli che se dimise pure lei dall’Europarlamento e non avendo più un posto fisso ricevette dal sindaco di Bologna delle mutande con su scritto “allora, ve ne andate o no?”. Era arrivato anche a lei l’intimo di sfratto. L’epilogo si ebbe quando ormai ebbro di potere Cofferati salì sul podio e urlò “fui sindacalista quindi protestante. Destino tutto l’otto per mille alla chiesa Waldese, quelle che adora la Pastiglia presa il 14 luglio, per assonanza, e chissenfrè! D’accordo!??” ! Garibaldi proruppe indignato e invidioso urlando “a me nessuno m’ha mai dato un cacchio e anche io lotto per mille!”..e fu la rivolta!! Gruppi di daltonici inveirono incapaci di capire se le quote rosa erano stato affossate dagli azzurri ma caldeggiate dai verdi oppure no. Istigato dalla De Filippi, il dentista di Fassino pretese il posto di Lunardi gridando che lui il ponte sullo stretto era da un pezzo che l’aveva messo. E quando vidi Previti avvicinarsi a me danzando e canticchiando “tra il dire e il fare c’è di mezzo il dare” spalancai gli occhi, terrificato. Era troppo inverosimile quello che avevo vissuto, troppo irreale, troppo fantastico. Così accesi la tv per un tuffo nella normalità. E la prima cosa che vidi fu il congresso del Psi. Ormai era chiaro: non mi sarei svegliato mai più!

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CI SARA’MAI UN PAPA DI NOME GIGI?

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(19-20 ottobre 2005)

Se mille chili di tonno pesano una tonnellata, mille chili di marmo pesano una marmellata? Stavo vedendo un film del mago dalla mira infallibile, Erri Sputter, con la sua amica Ermione e suo padre, più grande, Ermiardo, quando venni colto da domande trascendenti e caddi in letargo come una marmotta, conosciuta ai più come la marmotta catalettica. Sognavo, cominciavo a girovagare col pensiero. Ero nella fase rom del mio sonno. Mi trovavo a Mentone. Ma non ero proprio a Mentone. Il mentone ero io. Mi osservai meglio. Ero in un giornale, ero praticamente Stefano Folli. Ma non ero a mio agio e rimpicciolivo, rimpicciolivo. Ora ero Follini. E avevo un atteggiamento dimesso. E rimpicciolivo ancora. Ora ero folletti. Oh, finalmente potevo andare a porta a porta come rappresentante delle aspirazioni. Praticamente un aspirante. Biondo, bleso, imperbe. Cacchio, ora ero Lapo. E il Lapo perde il pelo ma non il vizio. Un vizio costoso per cui avrei dovuto chiedere l’aiuto di qualcuno. Chessò…Babbo Nasale. Decisi per uno scambio alla pari. Io gli avrei mandato una letterina, con tutto Gerry Scotti. Lui m’avrebbe mandato un trans. Ma ci furono problemi nella consegna, difficoltà linguistiche con la kappa del mio camino forestiero e in un tardo pomeriggio di una giornata comunque stupida partii deciso ad andare in Arizona. Come se della zona delle nari non mi fossi occupato abbastanza. Partimmo da Chiasso, nella confusione generale. Passammo per Chiavari, nella preoccupazione dei più. Quindi Olbia, Livorno, Olbia con scalo a Malpensa, dove si fa peccato ma non si sbaglia mai. Poi sorvolo della zona di Lecco, interdetta al traffico aereo per decisioni leghiste. Richiesta di nulla osta per il sorvolo di Lecco. Accolta. Richiesta di nulla lecco per il sorvolo di Aosta. Accolta. Sconforto in business glace, dove orde di gelatai partivano alla conquista dell’eldorado e ammaraggio in serata nelle acque pettegole del lago di Guarda dove finalmente venimmo informati degli accadimenti. Prodi aveva messo su un allevamento di animali. Era festa grande. Mi divincolai dalla folla, mi vestii di due bocce di chanel, perché la sera vogliò uscì coperto bene, e raggiunsi il palco dell’Unione. Romano era lì. Gongolava. Mostrava il suo allevamento di conigli. Aveva vinto lepri varie, diceva lui. Qualcuno lo corresse, cominciarono i tafferugli, le proteste. Qualcuno cercò di abbassare i tony nell’indignazione di Little che avrebbe dovuto cambiare nome in Mini. Fu la volta di Di Pietro che, presa la parola, disse che il problema del finanziamento pubblico al partito c’era stato perché quello, il partito, dopo esse partito non era più tornato. Ma che c’entra?, urlò Mastella che cercando un depistaggio indisse un convegno dal titolo “ci sarà mai un papa di nome Gigi?”, vergognandosi poi di un verbo come indisse. Era il delirio. Tutti volevano dire la loro. E loro, senza più voce, non volevano essere epurati. Santoro si dimise dal Parlamento europeo per andare a Rock Politik. Violante da quello italiano per andare alla Prova del Cuoco. Brunetta si dimise da tutto e partecipò a Genius, cadendo proprio per una domanda sui Ricchi e Poveri. Venne aperta un’inchiesta dal Tg Quatto di Umilio Fede: la difficoltà di trovare un bagno nel mondo dei servizi segreti. Quindi le conseguenze disastrose delle galline contagiate dall’influenza dei polli: uova sode. No, non ero in grado di resistere. Non potevo restare in Italia. Non volevo seguire la diretta pomeridiana dei parlamentari che a metà pomeriggio si mandavano affan q. Odiavo il tiè delle cinque e dovevo liberarmi, affrancarmi e poi spedirmi lontano. Non sapevo dove. Ma altrove, al caldo, su una spiaggia assolata dove da settimane c’era chi pensava si rifacessero una vita pornostar pentite. Io non ci credevo. Ma il punto per me era un altro. Non ero incapace di farmi una ragione che Moana Pozzi fosse morta. Ero solo devastato dall’evidenza che Sandro Bondi fosse ancora vivo. E mi svegliai. Come sempre agitato, scosso, shekerato. Mi sentivo come un cocktail in cerca di salvezza. Un cocktail di scampo. Finalmente capivo i fuggiaschi che da un Brindisi cercano la libertà.

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ALICE GUARDA I GATTI E 4 GATTI GUARDANO ALICE.

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(15 ottobre 2005)

Anche in quella puntata il maresciallo Nocca aveva compromesso l’irruzione, bussando. Chi è?, aveva urlando la Pandolfi, uscendo, coi guanti de gomma, dal distretto di pulizia. Niente, scocciatori !, le aveva spiegato Scarpati riprendendo a chiarire ai suoi cari che lui grosso modo era un dottore, ma niente de che, non esageriamo, uno specialistino. E davanti al modico in famiglia m’ero reso conto di essere in un sogno. Ma quando m’ero addormenteto, perché non mi avevano sveglieto? Fuori dal sogno avrei litigheto. Ero troppo suscettibile, avevo la coda di puglia: odiavo metterci tanto nel capire le cose. Ma non è mai troppo tardi, m’aveva rincuorato il maestro Manzi, sorridendomi, ingigantendosi e diventando Manzoni. Pettinate le basette, m’aveva dato un libro. Era arrivato il momento dei compiti: dovevo correggere Il Milione di Marco Polo in euro. La zona era cambiata e m’ero ritrovato in una convenscion scritta male. Anche il libro era cambiato. Autore: Marco Polo delle Libertà. Titolo: Il Milione di costi di lavoro. Un’epica saga di coccoccò costretti, per paradosso, a sbarcare il lunario svegliandosi all’alba e cantando al sole. Praticamente galli. Galli disoccupati. Galli bisognosi di diventare massoni per trovare un lavoro. Galli della loggia, quindi. Ah, ah, disimpegno e armonia. No, no, guardi. Niente galli della loggia, qui. Siamo alle primarie dell’unione, non vede che piazza è? Piazza del Pipolo, avevo risposto felice, cercando anche piazza del Castellano e correggendo poi in piazza del Popolo perché se i sogni son desideri volevo essere preciso, anche nelle grammatiche. Era vero, c’erano tutti. C’era Scalfarotto, con il nome nella scheda: Oscarotto Luigiotto. Più in là c’era Ciampotto: Carlotto Azegliotto. Tra gli spalti, eliminato, Cossigotto, che non s’era messo d’accordo sul prezzo e aveva rilanciato troppo. Il famoso sardo con l’asta. Ma ecco che dal nulla (in tutti i sensi) era arrivato, volteggiando, Scilvio. Con la gorgiera e il parruccone boccolato. La palandrana e le scarpone con la fibbia e il controtacco da circo. Ohhhhh!! Re Sòle, aveva esclamato il pubblico romano riconoscendolo..insistendo sulla o aperta e indicandolo. Sì, ma non con l’indice. Re Sòle, diteci voi, parlate. Scilvio s’era mosso verso la platea facendosi largo. Scapagnini gliel’aveva detto, di mettersi a dieta. Ma lui no. S’era fatto largo. O popolo di Roma, nuntio vobis che il candidato della Cassa delle libertà son scempre io: bancomat. Troverete le schede col mio nome in tutti i seggi. Le distribuisce Sandro Bondi, vestito da odalisca. Quelle con gli altri nomi dovrete cercarle addosso a Ferrara. Chi le troverà col scimbolo comuniscta, non si stupisca: cercando su Ferrara se trova de tutto! Poi c’era stata un’esplosione. Erano partite le minorette (le majorette adatte all’altezza di Scilvio) e si era fatta festa allegramente. Tutta la gente s’era messa in cammino. Suonando, il pufferaio magico, aveva condotto Scilvio a Palazzo Chigi, nell’insofferenza di Berluscòn che urlando”e adesso basta di prendermi per il culo perché sono basso”aveva tirato fuori piccozza e ramponi per superare un gradino. E il primo gradino era superato. Ora rimanevano tutti gli altri. In parlamento infatti era passata la salavapreviti beghelli. Ora, qualunque avvocato anziano dalla esse sibilante, in presenza dei carabinieri avrebbe premuto un tasto al collo e le Forze dell’ordine, oplà, sarebbero diventate Forse dell‘ordine, ipotesi di militari che, senza più identità, avrebbero cercato fortuna all’estero come barzellettiere. Ma era tardi, cacchio, era tardi. Bisognava occuparsi della legge elettorale. Il conto alla rovescia era partito: maggioritario, giugnoritario, luglioritario. Stop! Un altro colpo di genio e Scilvio, alzando la mano, aveva ostentato un foglio con scritto “proporzionale”, correggendo poi il tiro con l’aggiunta di un accento sulla terza “o”. “Proporziònale”. Tutte le risultanze elettorali sarebbero state rapportate a lui, e mi conscenta. Sennò che me so’fatto elegge a fa’? Bisognava votare, bisognava fare presto. Ormai era deciso: il voto era secreto e chi era contrario secerneva sangue dalle tempie. Maestro, aveva chiesto Follini, chi ti tradirà? Chiti..Vannino? No chi ti..staccato! Ah, un parente. Guarda, Follini. Non lo scio. Non lo scio. Ma è tardi, non c’è più tempo, non c’è più tempo. E saltando come il bianconiglio..Scilvio s’era messo a strillare, scuotendomi in un soprassalto. Spavento, terrore e raccapriccio. M’ero svegliato a casa mia, stravolto e frastornato. Adesso capivo perché m’ero addormentato: per soddisfazione. In tv Anna La Rosa presentava Alice. E io l’avevo sempre detto: quella per me è ‘na pescivendola. Ma chissà se l’incubo era finito davvero.

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IL FINANZIAMENTO PUBBLICO AL PARTITO FU UN PROBLEMA PERCHE’QUELLO, IL PARTITO, DOPO ESSE PARTITO NON E’PIU’TORNATO.

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(6 ottobre 2005)

Avevo sentito parlare del bricolage di art attack convinto si trattasse di ortopedia casalinga. Ma quando lo vidi facendo zapping col mio telecomando sarchiatore m’addormii ibericamente circondato da Giovanni ma soprattutto Muchacha. Mi ritrovai al momento del brindisi al Bar Cellona, angolo piazza di Spagna. Continuava l’Andalusia. Cecchi Paone, fiero e orgoglione, annunciava il suo trasferimento a Madrid, il suo matrimonio omosessuale e il suo cambio di nome in Checchi Paone. Nel pomeriggio una folla gay avrebbe festeggiato marciando sul Maschio Angioino con rotta verso gli Evirati Arabi. Cena al sacco con depredazioni e scippi solo se il sacco fosse stato a Roma. Dopocena a casa di Armani, riluttante a rimanere ma poi persuaso dall‘invito “dai, ndo vdai, ndo devi annà, armani!”. Si era al culmine dell’euforia quando dalla folla si levò una voce di dissenso. Una voce padana che veniva a creare problemi. La famosa grana padana. Borghezio brandendo Brunetta, fece irruzione a volto coperto. Coperto da un passamontagna che, nel caso di Borghezio, erano mutande. Ci furono tafferugli, cercai di dileguarmi. Qualcuno rise per la parola tefferugli. Qualcun altro, più ignorante, per la parola “dileguarmi”. Qualcun altro, ancora più ignorante, per la parola “parola”. Borghezio, per l’appunto. La situazione degenerò, si cercò di riportare la calma. Checchi Paone, risoluto e vestito da torero, prese il toro per la Corna e insistendo nell’equivoco tentò di far cantare al bovino Strangers in the night e Lade Marmelade. Ma la prova fu deludente. Cominciarono ad arrivare fischi, pernacchie, parolacce. La gente cominciò a lamentarsi, Ruini prese a lanciare degli strali. Qualcuno chiese il significato anche della parola strali. Sempre Borghezio. E alle venticinque e cinquanta del giorno più lungo arrivò Caputi a riportarci in cueva. Era il primo sogno che facevo nell’Isola degli Infamoni e provavo una certa porca emozione. In caverna stavano discudendo di Turchi. Turchi fuori dall’isola ma in Europa fra dieci anni..se tutto va bene. Per un attimo si pensò di far risolvere la cosa alla moglie Carmen. Poi si realizzò il paradosso. Strano risolvere un problema di Turchi affidandosi a un Russo. Meglio ragionarci su. Anna La Rosa cominciò a ventilare delle ipotesi nell’imbarazzo di tutti i convenuti che decisero di ribattezzarla in Anna La rosa dei Venti. Il ministro Sirchia riprese a fumare il suo mezzo toscano di sempre, noto ai più col nome di Pupo. Io mi chiesi se Lori del Santo non fosse sinonimo, in realtà, di un ex-voto dialettale. Ma venni allontanato e ritornai in spiaggia proprio al momento dell’arrivo di Antonio Fazio. Gli venne indicata la figlia di Albano come la più sfaticata e il governatore ce se buttò a pesce deciso, anche nella circostanza, a non molla’ ‘a poltrona. Ma era il momento della diretta. Bisognava fa’ le nominescion. C’era tensione e silenzio. Si sentiva solo Borghezio chiedere il significato di nominescion. Il primo a raggiungere la lavagnetta fu Follini vestito da Edison, per completa’ la somiglianza co’ ‘na lampadina. Berlusconi ci vuol fare le scarpe, disse ostentando ai piedi due sandaloni con zeppa di proporzioni settantottine. Poi scrisse il nome di Mastella, giusto per creare depistaggi e si allontanò in cerca di Archimede Pitagorico. Giovanardi non riuscì a individuare il tizio da eliminare ma, aderendo alla faccia e alla dizione, prese le ordinazioni col fazzoletto al braccio e disse che le tagliatelle della casa erano le migliori. Se erano migliori la casa era della libertà ululò Sandro Bondi truccato da majorette sventolando una lettera di Silvio. Una lettera con un P.S. in fondo che per lui e solo per lui significava Pre Scriptum. Fu all’arrivo di Cicchitto truccato da Nonna Abelarda, quindi uguale a sempre, che mi svegliai stanco, impaurito, disarmato. Avevo lasciato la televisione accesa e adesso faceva caldo. Continuavo a manifestare una piromania elettrodomestica. Ma non l’avrei spenta immolandola e ricordando il sacrificio di Giovanna D’Arco. In questo caso un sacrificio d’arco costituzionale. Affettuosi salumi.

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